Trauma: più complesso di quello che pensiamo

Prima di occuparmi di PTSD Disturbo post traumatico da stress non avevo mai riflettuto bene sul termine Trauma. È una parola utilizzata di frequente a livello colloquiale, ma pochi ne conoscono il vero significato e soprattutto quello che comporta a livello fisico e psichico. Il senso con cui viene utilizzato di solito il termine “trauma” è “critico”, ossia per essere chiamato "traumatico" l'evento deve produrre nell'individuo un'esperienza vissuta come eccedente le risorse normalmente gestibili.

Nella comunità psicologica però si definisce trauma ciò che può essere diagnosticato tramite il DSM (manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali), tutti gli altri sono definibili traumi con la t minuscola proprio perché non corrispondono ai criteri per una diagnosi, ma si possono considerare critici per la persona che li ha vissuti. Per essere chiari: Trauma è un'esperienza in cui viene messa in pericolo la propria vita o si assiste al rischio di vita per altre persone. Tutte le altre esperienze difficili e angoscianti a cui possiamo essere sottoposti non possono essere diagnosticati come traumi se non è in gioco la nostra o l'altrui vita. Di qui la scelta di nominare Traumi con la T maiuscola quelli diagnosticabili e traumi con la t minuscola le esperienze critiche a livello soggettivo.

Fatto ordine tra le definizioni, il focus più importante sono le conseguenze.

Il trauma (dal greco: "rottura") è quindi un esempio di stress di gravità estrema, che minaccia l'integrità stessa della coscienza. L'essere esposti ad un'esperienza traumatica, ovvero che comporti un pericolo di vita (da definizione del DSM), attiva in noi il sistema di difesa chiamato attacco o fuga (fight or flight).

Quando scorgiamo un pericolo si attivano in noi in modo assolutamente automatico le 4 risposte fondamentali del sistema di difesa: freezing (congelamento), fight (attacco), flight (fuga), faint (svenimento/distacco). Questo sistema di difesa è antico quanto noi, il nostro antenato uomo preistorico quando usciva dalla caverna doveva reagire alla minaccia di un predatore a seconda delle sue risorse e delle caratteristiche del predatore stesso o rimanendo fermo (freezing), o attaccando (fight) o fuggendo (flight) e quando nessuna di queste strategie sembrava avere qualche possibilità di riuscita l'unica ed estrema risposta possibile era il faint, la brusca ed estrema riduzione del tono muscolare accompagnata da una disconnessione fra i centri superiori e quelli inferiori. È una simulazione di morte, ovviamente automatica e non consapevole, perché in genere i predatori preferiscono prede vive. In questa situazione, per mezzo di attivazione del sistema dorso-vagale, vi è un distacco dall'esperienza e sono possibili sintomi dissociativi.

Oggi l'uomo moderno in condizione di trauma attiva gli stessi meccanismi di difesa ghiacciandosi (molti di voi l'avranno provato in conseguenza ad una brutta notizia), attaccando (prendendosela anche con chi non c'entra) o fuggendo (per esempio da un'auto in fiamme) o ancora distaccandosi (in conseguenza da un lutto "non è successo a me"). Quando il sistema di difesa faint dura a lungo impedisce una normale integrazione degli stati della mente e in generale delle funzioni superiori della coscienza, non permettendo l'integrazione di quella memoria traumatica che presenta un importante fattore di vulnerabilità ad un'ampia gamma di disturbi psichici con sintomi dissociativi.

Quando l'evento disturbante è troppo sconvolgente viene immagazzinato in un modo che ne impedisce la connessione con informazioni più adattive che comunque esistono nel nostro cervello, ma in quel momento non possono essere utilizzate. Questo determina il PTSD il disturbo post traumatico da stress, trattabile grazie all'EMDR che modifica la prospettiva, su ciò che è successo e su di sé, ricollocando l'evento nel passato e assimilando e integrando quest'esperienza nella nostra rete mnemonica e cognitiva.

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